I TELESCOPI

GENERALITÀ E CARATTERISTICHE. I telescopi astronomici sono strumenti ottici attraverso i quali è possibile esplorare l’Universo che ci circonda. Si tratta di strumenti in grado di catturare molta più luce di quanto non possa fare l’occhio umano e quindi di rivelarci oggetti altrimenti a noi invisibili. Inoltre, consentono un notevole ingrandimento dell’immagine, fattore determinante nell’osservazione degli oggetti celesti.
Lo schema ottico di tutti i telescopi consiste di due elementi: l'obiettivo, gruppo ottico di elevate dimensioni rivolto verso l'oggetto astronomico da osservare, e l'oculare, gruppo ottico di più ridotte dimensioni rivolto verso l'elemento rilevatore, occhio, sensore CCD. Esistono innumerevoli tipi di telescopi, diversi per schema ottico, prestazioni e realizzazione ma una prima classificazione dei telescopi può essere quella legata ai mezzi ottici utilizzati per la costruzione degli obiettivi: lenti (telescopi rifrattori) o specchi (telescopi riflettori) . Esistono anche telescopi con obiettivi costruiti con una combinazione di lenti e specchi (telescopi catadiottrici).
Gli oculari, invece, possono essere usati con diversi tipi di obiettivo e hanno tutti la funzione di permettere all'occhio di poter osservare l'immagine dell'oggetto lontano riprodotta dall'obiettivo. Il loro principio di funzionamento è quello della lente di ingrandimento.
Le caratteristiche intrinseche più importanti di tutti i telescopi sono:
  • il diametro;
  • la lunghezza focale;
  • la qualità dell'immagine in asse, cioè al centro del campo visivo;
  • la qualità dell'immagine fuori asse, cioè ai bordi del campo visivo.

Caratteristiche derivate sono:

  • l'ingrandimento;
  • la luminosità;
  • il potere risolutivo.
Per diametro e lunghezza focale di un telescopio si intende il diametro e lunghezza focale  dell'obiettivo. Queste due caratteristiche intrinseche si legano  nel  rapporto d'apertura D/f (con le stesse unità) ed identificano il telescopio.
Una volta scelto l'oculare da accoppiare con l'obiettivo  l'ingrandimento del telescopio indica quante volte l'immagine di  oggetto astronomico è ingrandita rispetto alla visione senza telescopio ed è dato dal rapporto:

m=fobfeym=\frac{f_{ob}}{f_{
Per esempio con un telescopio con una focale  fob= 750 mm (caratteristica intrinseca del telescopio) e un oculare con focale fey= 5 mm (scelta dell'osservatore) gli ingrandimenti  sono 750/5 ovvero 150x, se nello stesso telescopio si inserisce un oculare con 20mm di focale, si ottiene 37,5x di ingrandimento. Si può stimare che il massimo ingrandimento ottenibile da un telescopio è  circa il doppio del suo diametro in mm. Per esempio  con telescopio con un D/f= 130/900  si possono ottenere al massimo 260x ingrandimenti e quindi la minima lunghezza focale degli oculari accoppiabili è di circa 4 mm.
Se Δθ è l'angolo sotteso in radianti dall'oggetto astronomico rispetto al telescopio allora la sua dimensione sul piano focale è Δy= fob·tanΔθ≃ fob·Δθ (per piccoli angoli la tangente si può approssimare con il valore dell'angolo in radianti). Se invece Δθ” l'angolo sotteso dall'oggetto in secondi , le sue dimensioni sul piano focale sono date Δy= fob·Δθ"/206265.
In figura a destra due telescopi hanno la stessa lunghezza focale e quindi produrranno la stessa dimensione dell'immagine nel piano focale ma il secondo telescopio ha una area maggiore del primo e la luce raccolta nell'immagine è superiore (per un diametro doppio la capacità di raccolta della luce sarà quattro volte maggiore). Quindi la luminosità del telescopio  è legata al rapporto d'apertura.  Il reciproco del rapporto d'apertura è detto rapporto focale n e si indica con la simbologia f/n. Più piccolo è il rapporto focale e più luminoso è il telescopio.
Il confronto fra rapporti focali diversi viene qualificato con i termini “telescopio lento” (alti rapporti focali) e “telescopio veloce” (bassi rapporti focali) in base ai tempi necessari per registrare l'immagine dello stesso oggetto celeste. 

Inoltre un telescopio con un rapporto focale alto fornisce immagini visuali molto contrastate e dettagliate, ma si presta male ad un utilizzo fotografico se l’oggetto da riprendere è debole.
Il diametro dell'obiettivo è importante non solo per la quantità di luce raccolta sul piano focale ma soprattutto nella risoluzione dell'immagine prodotta, infatti la luce che passa attraverso un obiettivo  circolare produce delle frange di diffrazione (disco di Airy) attorno ad una sorgente brillante centrale e tanto più piccolo è l'obiettivo, tanto più importante diventa questo fenomeno. La minima separazione angolare teorica risolvibile da un obiettivo è calcolabile con il criterio di Rayleigh :Δθmin=1.22λDΔθ_{min}=1.22\frac{λ}{D}Per esempio un 130/900 potrà, nelle migliori condizioni, risolvere separazioni angolari fino a 1" d'arco. Purtroppo la risoluzione di un telescopio è limitata anche da fattori esterni al telescopio stesso. Infatti la turbolenza atmosferica (seeing) e la qualità dell'obiettivo del telescopio fanno scendere sempre il potere risolutivo.

La qualità dell'immagine prodotta dai telescopi è infine condizionata da cause intrinseche allo strumento dette aberrazioni,  possono essere dovute a difetti di lavorazione, ma più spesso fanno parte integrante del progetto di un telescopio. Possono essere distinte in  aberrazioni assiali e aberrazioni fuori asse  e anche in aberrazione cromatiche e aberrazioni geometriche (cinque). Esse sono:
  1.     aberrazioni assiali (peggiorano la qualità dell'immagine in asse)
    • aberrazione cromatica assiale: la lunghezza focale del sistema cambia con la lunghezza d'onda, dando luogo a un'immagine confusa;
    •  aberrazione sferica (geometrica)  i raggi di luce non convergono nello stesso punto perchè il fuoco dei raggi parassiali (raggi vicini all'asse ottico principale) è diverso dal fuoco dei raggi marginali (raggi lontani all'asse ottico principale)
  2. aberrazioni fuori asse (sono visibili solo lontano dal centro dell'immagine)
    •  aberrazione cromatica laterale: l'ingrandimento cambia con la lunghezza d'onda, e quindi le stelle appaiono come barrette multicolori tanto più lunghe quanto più ci si allontana dall'asse
    •  coma (geometrica) gli oggetti appaiono sotto forma di piccole “comete”. L'effetto è tanto maggiore quanto maggiore è la distanza dell'oggetto dall'asse ottico. Il coma, a differenza dell'astigmatismo, è più facilmente riscontrabile in obiettivi di grande apertura.
    •  astigmatismo (geometrica). Consiste nell'allungamento dell'immagine lungo una specifica direzione.
    •  curvatura di campo (geometrica) il “piano focale” non è “piano” ma ha una curvatura. Questa aberrazione è poco visibile ad occhio, perché l'occhio umano la compensa adattando la sua messa a fuoco, ma è grave in fotografia.
    • distorsione (geometrica). La distorsione non altera la nitidezza dell'immagine, ma il suo aspetto: l'immagine risultante non risulta geometricamente similie all'oggetto ed è tanto più deformata quanto più l'oggetto è distante dall'asse ottico principale.
a. nessuna aberrazione
b. aberrazione sferica assiale
c. aberrazione cromatica assiale
d. aberrazione cromatica laterale
e. coma
f. astigmantismo assiale e laterale


LA LENTE DI INGRANDIMENTO. Per ottenere un'immagine più grande sulla retina bisogna avvicinare l'oggetto all'occhio.
Tuttavia il nostro occhio ha una distanza minima per la nitida messa a fuoco di un oggetto, il punto prossimo N. Un occhio giovane ha il punto prossimo a circa N= 25 cm dall'occhio, invecchiando questa  distanza aumenta.

Se l'altezza dell'oggetto è h la massima ampiezza angolare dell'immagine sulla retina è approssimativamente:

θ=hNθ=\frac{h}{N}


Una lente convessa di distanza focale f < N può produrre sulla retina un'immagine nitida più grande.  Infatti se l'oggetto è posto nel fuoco di questa lente la sua immagine sarà dall'occhio osservata infinitamente lontana, molto al di là del punto prossimo e potrà essere messa a fuoco con facilità dall'occhio. Ma f < N e quindi l'ampiezza angolare dell'immagine nitida sulla retina sarà maggiore:

θ=hfθ'=\frac{h}{f

Sarà doppia se θ' = 2θ. Si definisce ingrandimento angolare:

m=θθ=hfNh=Nfm=\frac{θ'}{θ}=\frac{h}{f}\cdot \frac{N}{h}=\frac{N}{f}


TELESCOPI RIFRATTORI


Nei rifrattori la luce raccolta dall’obiettivo viene focalizzata sul punto F, ove si trova anche il fuoco dell’oculare attraverso cui  si osserva l’immagine dell'oggetto celeste. A seconda della posizione occupata dall’oculare nel cammino ottico dei raggi luminosi, abbiamo due tipi di rifrattori il Kepleriano (i più diffusi) e il  Galileiano.

IL TELESCOPIO KEPLERIANO.  Per poter osservare oggetti lontani molto grandi occorre avvicinarsi ad essi. Ma se non si può allora una lente convergente, detta obiettivo,  può creare un'immagine reale dell'oggetto lontano nei pressi del suo fuoco. Ma adesso l'oggetto lontano è troppo piccolo per poter essere osservato e non ci si può avvicinare troppo perché non si può superare il punto prossimo. Allora si fa corrispondere il fuoco di una lente convessa, detta oculare, mediante un sistema meccanico detto fuocheggiatore,  alla posizione dell'immagine reale prodotta dall'obiettivo, l'occhio la vede posta all'infinito (quindi è rilassato) ma con un'ampiezza angolare molto elevata.
L'ingrandimento angolare del telescopio è:

m=θeyθobm=\frac{θ_{ey}}{θ_{ob}}con: θob=-hfobθey=hfeyθ_{ob}=- \frac{h'}{f_{ob}}\qquad θ_{ey}=\frac{h'}{f_{ey}}
h' è altezza dell'immagine capovolta prodotta dall'obiettivo.

Da cui, sostituendo:m=-hfeyfobh=-fobfeym=-\frac{h'}{f_{ey}}\cdot \frac{f_{ob}}{h'}=-\frac{f_{ob}}{f_{ey}}
Questo è lo schema del telescopio kepleriano.
PUPILLA D'USCITA. La pupilla d'uscita, ep, è il diametro del fascio di luce che esce dall’oculare di ogni telescopio e determina quanta luce raccolta dallo strumento riesce effettivamente ad entrare nell'occhio dell'osservatore, soprattutto in base alla capacità della pupilla stessa di dilatarsi.
Dalla figura si ricava che : Dfob=epfeyep=Dfey/foc=Dm\frac{D}{f_{ob}}=\frac{ep}{f_{ey}}⇒ep=\frac{D}{f_{ey}/f_{oc}}=\frac{D}{m}
con D diametro dell'obiettivo.

Il nostro occhio ha una pupilla del diametro massimo di 6-8 mm, quando adattata al buio. Se dall'oculare del telescopio esce un fascio dal diametro maggiore, non tutta la luce raggiungerà il nostro occhio e, di fatto, si ha una perdita di luminosità,  è come se si osservasse con un telescopio di diametro minore. Si definisce ingrandimento minimo di un telescopio quello per il quale la pupilla d'uscita ha un diametro di circa 7mm; esso si ottiene dalla  formula inversa:

mmin=D(mm)7m_{min}=\frac{D (mm)}{
IL TELESCOPIO GALILEIANO. Nel telescopio  galileiano l'oculare è una lente divergente. Anche questo oculare ha la funzione di fornire una immagine virtuale all'infinito con una ampiezza angolare elevata. L'immagine è finale non è capovolta rispetto l'oggetto e il telescopio di Galileo è più “corto” rispetto ad un analogo kepleriano, ma la pupilla  d’uscita  è  troppo grande: l’occhio  deve “vagare” per vedere tutto il  campo.




Schema ottico di un telescopio galileiano



Il campo visivo di un telescopio kepleriano (foto grande e immagine in basso) e di un telescopio galileiano (foto piccola a destra e immagine in alto)
Nei rifrattori l’obiettivo è composto da due lenti costruite con vetri di indice di rifrazione diverso, per ridurre l’aberrazione cromatica (rifrattore acromatico). Esistono anche dei rifrattori nei quali tale aberrazione è stata corretta in misura maggiore (rifrattori semi-apocromatici) e quelli nei quali il residuo di aberrazione cromatica è talmente basso da essere considerato praticamente nullo: i rifrattori apocromatici. In questi ultimi, l’obiettivo può essere costituito da un doppietto o un tripletto di lenti con vetri a bassa dispersione e con trattamenti antiriflesso multistrato che garantiscono un elevatissima trasmissione dell’energia luminosa incidente.



I rifrattori hanno elevata nitidezza e contrasto delle immagini, assenza di ostruzione,  semplicità meccanica e affidabilità, tubo ottico chiuso (ridotta turbolenza interna e buona protezione dalla sporcizia) per contro hanno una minore luminosità, a parità di apertura rispetto ad altri schemi (a causa della correzione dell'aberrazione cromatica)  e un costo elevato, sempre a parità di apertura rispetto ad altri schemi, per la realizzazione dell'obiettivo.

TELESCOPI RIFLETTORI

TELESCOPIO NEWTONIANO. Il telescopio newtoniano è stato il primo tipo di telescopio a riflessione ed è composto da uno specchio primario parabolico e uno specchio secondario piano di forma ellittica. Lo specchio secondario riflette il piano focale dello specchio primario perperdicolarmente all'asse ottico. In questo modo può essere collocato un oculare kepleriano  per poter produrre un'immagine virtuale diritta e ingrandita dell'immagine, rimpicciolita, reale e capovolta, prodotta dall'obiettivo. La forma dello specchio secondario è ellittica perché la sezione trasversale di un cono prodotta da un piano a 45° è un'ellisse.
Se amin (asse minore) è il diametro minimo del secondario ellittico ed L è l’estrazione focale, cioè la distanza dello specchio secondario dal piano focale, per raccogliere la luce di un oggetto in asse riflessa dal primario e coprire il campo richiesto di dimensione Cr (mm) sul piano immagine) occorre un diametro a> amin che è determinato dalla formula: amin=Lf#+Cr-LCrfa_{min}=\frac{L}{f_#}+C_r-\frac{LC_r}{f
f# è il rapporto focale. Nei newtoniani non sono molto evidenti le principali aberrazioni ottiche e si possono ottenere grandi aperture relative (f/4 - f/8) di contro sono ingombranti e le aberrazioni fuori asse notevoli in strumenti di corta focale (coma in particolare)


TELESCOPIO CASSEGRAIN.
Nel Cassegrain viene praticato un foro nello specchio primario parabolico  e si pone uno specchio secondario iperbolico  davanti al primario in modo da riflettere l'immagine attraverso il foro per poter osservare “da dietro” come nei rifrattori. In questa configurazione la focale del telescopio viene allungata rispetto a quella dello specchio primario, permettendo di ottenere focali molto lunghe con un tubo corto, caratteristica molto importante con le grandi aperture. Tuttavia l'ostruzione è superiore a quella del Newton.
 

TELESCOPIO RITCHEY-CHRÉTIEN.
La configurazione è quella Cassegrain ma sia il  primario  che  secondario sono iperbolici. In questo telescopio  il coma è eliminato e consente rapporti focali piccoli e quindi strumenti molto luminosi e “compatti” caratteristica molto importante per grandi aperture. Ha un campo piano, grande e corretto fino ai bordi. Quasi tutti i principali telescopi ottici al mondo adottano questa configurazione.
TELESCOPIO GREGORIANO. Il telescopio gregoriano è  costituito da uno specchio primario parabolico, con funzione di obiettivo, e da un secondario concavo ellissoidale situato sull'asse ottico oltre il fuoco del primario (per l'esattezza ad una distanza di poco superiore alla somma delle distanze focali dei due specchi). Nel telescopio gregoriano, al pari del telescopio Cassegrain, l'immagine si forma dietro lo specchio parabolico, opportunamente forato, e l'oculare si trova perciò dietro lo strumento. Lo strumento ha la particolarità di fornire un'immagine diritta e può quindi essere utilizzato anche per osservazioni terrestri senza l'ausilio di un erettore. Questo schema ottico è usato oggi in molti radiotelescopi.





TELESCOPIO NASMYTH
. Una variante del Cassegrain è la configurazione Nasmyth. In questo caso alla classica configurazione Cassegrain si aggiunge un terzo specchio (piano), situato lungo l'asse di declinazione strumentale che estrae il fuoco all'interno dell'asse. L'osservazione della sorgente avviene così all'estremità dell'asse di declinazione ove sono collocati gli strumenti di osservazione. In un telescopio Nasmyth non è dunque necessaria la foratura dello specchio primario.





TELESCOPIO SCHMIDT.
Il telescopio Schmidt propriamente detto è  uno strumento solo fotografico, formato da uno specchio sferico e una lente correttrice,  che agisce anche da diaframma, posta davanti allo specchio. L'immagine si forma tra lo specchio e la lente, dove viene raccolta dalla pellicola. E' impossibile usarlo per osservazioni visuali, ma offre prestazioni eccezionali per la fotografia a grande campo. Lo Schmidt  di  Mt. Palomar assicura  un campo corretto di  6°. Dallo Schmidt è derivato lo  Schmidt-Cassegrain che ha la forma di un Cassegrain classico con in più una lastra correttrice di Schmidt. Solitamente lo specchio secondario viene fissato direttamente alla lastra.




SPOT DIAGRAMS DEI TELESCOPI
La distribuzione geometrica dei raggi sul piano immagine prende il nome di spot diagram. Una griglia di raggi a diversi θ  si presenta sul piano immagine con diversa forma, dipendente dalle aberrazioni dominanti.